L'impareggiabile Zahi Hawass
di Mauro Quagliati

Il 3 maggio scorso si è tenuta, ad Imola, una manifestazione pubblica organizzata dal Centro Italiano Studi Egittologici (CISE), in cui il dott. Zahi Hawass, ha esposto le sue ultime scoperte archeologiche sul campo, alla platea del Teatro Comunale, tutto esaurito. Avvalendosi della proiezione di diapositive, il Direttore delle Piramidi, con il suo consueto modo di fare istrionico, intrattiene il pubblico sulle ragioni dell'egittologia scientifica. L'egittologo Maurizio Damiano e un'altra collega forniscono una traduzione italiana spesso approssimativa, tanto che, buona parte del pubblico capisce meglio le battute del Dr. Hawass direttamente dal suo originale inglese-arabo.
Il responsabile della piana di Giza comunica importanti novità, quali il rinvenimento delle nuove mummie dorate di Al Bahriya (a più di 300 km dal Cairo) e la scoperta, all'interno della piramide di Meidum, di un tunnel dall'architettura molto simile a quello della grande galleria nella piramide di Cheope. Promette anche che, entro novembre, una microcamera di pochi millimetri si insinuerà oltre la parete del blocco che chiude il famoso condotto sud della Camera della Regina (scoperto nel 1993 dal robot di Rudolf Gantenbrink).
La passione di Hawass si sofferma spesso sulla strenua lotta da lui intrapresa quotidianamente contro i proponenti delle teorie atlantidee o extraterrestri sull'origine della civiltà egizia. Come ribadisce lui stesso, questi personaggi con le loro idee assurde tolgono agli Egiziani la paternità stessa delle Piramidi, attribuendole a dei fondatori precedenti. Questa gelosia nazionalista è chiaramente assurda e pretestuosa: ad Hawass sfugge del tutto il fatto che gli Egiziani di oggi hanno ben poca parentela (etnico-genetica) con gli Egizi dinastici. E se anche fosse stata una civiltà preistorica a costruire i monumenti di Giza, non sarebbe anch'essa egizia, in quanto ovviamente abitante dell'Egitto?
Al riguardo, l'attribuzione della Grande Piramide a Cheope è un punto cruciale di numerose polemiche. Ad Hawass non sembra per niente innaturale che all'interno delle Grandi Piramidi non vi sia alcun tipo di bassorilievo e graffito delle dinastie corrispondenti. I segni di cava che si trovano in una delle Camere di scarico della piramide di Cheope (i geroglifici pitturati che recitano la frase "gli amici di Khufu") trovandosi dietro ad un pesante masso, possono essere stati apposti solo quando il masso fu sollevato, durante la messa in opera dei blocchi. Sinceramente, la diapositiva mostrata non mi ha chiarito la posizione di quei disegni e il motivo per cui non possano essere apocrifi, però va detto che persino Graham Hancock si è convinto della loro autenticità dopo averli visionati di persona, per cui la questione è aperta.
L'eminente archeologo ci informa su alcune correzioni da apportare alle cifre della IV dinastia. Il regno di Cheope sarebbe durato 32 e non 22 anni. Il numero di blocchi di cui è composta la grande Piramide deve essere diminuito: 2.300.000 sono troppi, in quanto la piramide poggia su un basamento di roccia viva che si trovava già in situ (di altezza e volume non specificati nei suoi schemi). Quanti sono allora i blocchi? "Non lo sappiamo perché stanno ancora procedendo al conteggio" (?). Se l'obiettivo di queste osservazioni è di far apparire meno impressionanti le prestazioni dei costruttori delle piramidi aumentando il tempo a disposizione e diminuendo di poche migliaia il numero dei massi, mi sento molto deluso.
Proprio gli operai di Giza sarebbero stati identificati, in tombe poco distanti dalle Piramidi. I loro scheletri presentano evidenti tracce di stress fisico: schiacciamento delle vertebre, fratture degli arti curate, amputazioni (dopo la quale un soggetto visse 14 anni) e operazioni chirurgiche al cranio (sopravvivenza 3 anni). Appurato che, comunque, i blocchi delle piramidi non venivano portati sulla testa da costoro, questi dettagli fanno sorgere invece altre curiosità sulla scienza medica egizia (ricordate la notizia della protesi di legno all'alluce di una mummia dell'Antico Regno?).
Hawass riferisce con ironia delle numerose prospezioni radar e geognostiche, effettuate da istituti esteri negli ultimi 20 anni, che pretendevano di aver individuato camere al di sotto della Sfinge, e delle successive perforazioni che non hanno scoperto nulla. Curioso, però, che lui stesso abbia scoperto la cosiddetta tomba di Osiride con quel sistema di cunicoli scavati nel sottosuolo della piana di Giza, a pochi passi dalla Sfinge. Quella camera conteneva, a suo dire, una sepoltura simbolica. Più o meno simbolica della Camera del Re che non ha mai ospitato la mummia di alcun faraone?
C'è tempo anche per un brevissimo accenno all'erosione della Sfinge, che alcuni pazzi dicono essere di natura piovana, ma è un'ipotesi insostenibile dato che i più antichi reperti archeologici rinvenuti nella fossa sono antichi di 4500 anni al massimo. Ci ricorda poi che il viso della statua di Chefren è senza dubbio somigliante a quello della statua leonina (!) e mostra una fotografia degli strumenti utilizzati per scolpirlo, cioè alcuni pezzi di roccia tondeggianti (?).
Ma l'interesse si fa ancora più vivo quando Hawass racconta di quella volta che in un sepolcro sotterraneo ha trovato un sarcofago di 16 tonnellate e di come ha impiegato 5 ore di lavoro con la sua squadra per spostarlo di 1 solo metro. Sempre firmata Hawass è la scoperta del più antico pyramidion egizio (il blocco piramidale che dovrebbe stare sulla sommità di una piramide) e ha fatto sorridere la balzana idea, che qualcuno ebbe, di posizionarlo sul vertice della Grande Piramide: progetto abbandonato perché persino con il trasporto in elicottero l'impresa era troppo rischiosa. Mi chiedo se questi episodi abbiano mai suscitato nella granitica mente di Zahi un ragionevole dubbio su quello che lui pensa di sapere dei metodi costruttivi degli antichi Egizi. Pare di no, almeno a giudicare da una diapositiva con alcuni esempi degli strumenti utilizzati per il taglio delle pietre: delle mazze sferiche in diorite, appena sbozzate.
Conclusa la conferenza, le autorità sul palco stanno salutando la platea quando qualcuno si ricorda (per pura formalità) di chiedere se il pubblico vuole fare qualche domanda. Non mi lascio sfuggire l'occasione e chiedo di parlare (comunque nessun altro si è alzato in piedi).
Vorrei chiedergli un'infinita di cose. Domandargli, per esempio, se conosce il peso specifico della roccia. Infatti non ho ancora digerito quella sua apparizione a Stargate in cui diceva che la maggior parte dei blocchi delle Piramidi non pesano più di 1,5 tonnellate. Affermazione assolutamente ridicola! Basta osservare le dimensioni dei gradini della Grande Piramide in confronto a quelle di un qualsiasi turista.
Oppure potrei chiedergli se avesse mai provato a spostare un masso più pesante di 30 tonnellate per 50 m in altezza, con la stessa tecnica di Diomedi (nel filmato di Stargate faceva trascinare esultante un blocchetto di 1 tonnellata per pochi metri). E se fosse capace di ripetere l'operazione ogni 2 minuti per tutto il giorno. Vorrei sapere da lui se decine di geologi interpellati da Robert Schoch sono tutti degli usurpatori di antichità altrui quando confermano che l'erosione verticale della fossa della Sfinge è senza dubbio di origine meteorica.
Però mi interessa di più la questione fondamentale della lavorazione delle pietre, così gli chiedo se secondo lui gli utensili mostrati nelle diapositive sono compatibili con il taglio di pietre come il granito e la diorite. Hawass non sembra per niente preoccupato e dice che quello è solo un esempio per mostrare che esistevano strumenti più duri della pietra scolpita e inizia a spiegare che un artigiano egizio è in grado, con pochi colpi ben assestati di tagliare un blocco di granito di 10 t in pochi secondi; addirittura mi invita a Giza dove mi mostrerà questa operazione e mi chiede se voglio scommetterci dei soldi. Barcamenandomi tra l'inglese (per farmi capire meglio da Hawass) e l'italiano (per farmi capire dagli altri) ribadisco che rompere una roccia è cosa ben diversa da tagliare, squadrare, levigare superfici e che esistono prove dell'uso di trapani tubolari e addirittura una carota di scavo, conservata al Museo Petrie di Londra. Domando anche se è noto il lavoro di Christopher Dunn (vedere gli ultimi numeri di Hera). La risposta è un motto di spirito: "gli Egizi usavano la testa, non la forza" (stento a crederci, sono le stesse identiche parole usate nelle interviste televisive). Zahi ammette di non conoscere nessuno di quei reperti e si mette a fare altri esempi della furbizia egizia, come il metodo usato per calare sottoterra pesanti sarcofagi togliendo gradualmente la sabbia da sotto. Mascherando il mio disappunto lo interrompo dicendo che conoscevo già questo stratagemma, e chiedendo allora come si fa invece a sollevare lo stesso peso. Ma a questo punto mi sono fatto sviare dalle divagazioni, mi accorgo che le autorità sul palco non hanno nemmeno capito cosa sto cercando di dire e alle mie ulteriori insistenze sul fatto che il taglio del granito rimane un problema, anche Damiano risponde deciso che non c'è alcun mistero, dopodiché mi tolgono il microfono per fare spazio ad altre domande (che non ci sono state).
Il mio appostamento fuori dal teatro per intercettare Hawass e tentare di fargli altre domande si rivela fallimentare perché nel frattempo si è già allontanato; in cambio ho ricevuto insperati gesti di solidarietà da diverse persone del pubblico che, evidentemente, avevano capito di cosa stavo parlando molto meglio di chi fa di queste cose materia di studio. Il fatidico interrogativo se il responsabile delle Piramidi faccia il finto tonto o semplicemente ignori una serie di incongruenze non è, a mio giudizio, risolto.


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