CONTROCORRIERE SCIENZA
a cura dell'OCACICAP 
(Organismo di Controllo sulle Affermazioni del Comitato Italiano
per il Controllo sulle Affermazioni del Paranormale)

 

L'OCACICAP è un Organismo ideale fondato allo scopo di ribattere con ragionamento e sarcasmo agli scettici a tutto campo. Molte persone ne fanno parte più o meno consapevolmente: sono tutti coloro i quali sono non si accontentano della visione riduzionista della storia e della civiltà umana che ci viene proposta in continuazione dai membri del celebre Comitato.


LETTERA AL CICAP-26/04/1999

Dall'articolo "Relazioni pericolose con l'alieno" del direttore del "Corriere Scienze" Viviano Domenici, estrapolo i seguenti passaggi, in relazione alle ipotesi archeologiche atlantidee od extraterrestri. E' straordinario come le considerazioni di Domenici rappresentino il ribaltamento speculare della mia opinione personale, formatasi in pochi anni di letture di libri e riviste sui misteri dell'archeologia. Seguirò punto per punto i paragrafi seguenti.

1) "Come mai queste bufale abbiano tanto successo è facile capirlo: offrono sogni a buon mercato, non necessitano di alcuno sforzo intellettivo e, soprattutto, risolvono ogni problema con un colpo di bacchetta magica. Per comprendere invece quello che dice la "scienza ufficiale" occorre almeno la pazienza di leggere qualche libro, confrontarsi con la complessità e accettare l'idea che la verità non è mai definitiva perché la ricerca è una scala (sempre in salita) che va percorsa gradino dopo gradino. Così, quello che era vero sino a ieri, non è più vero oggi e magari domani verrà smentito quello che oggi appare certo. E questi continui aggiustamenti non sono altrettante sconfitte della scienza ma faticose conquiste che giorno dopo giorno aggiungono piccoli tasselli a un mosaico in continua espansione.".

A Domenici, sfugge completamente il fatto che le ipotesi di quella che lui chiama spregiativamente fantarcheologia vadano per l'appunto a collocarsi lungo quel cammino faticoso che è il continuo aggiustamento e aggiornamento delle ipotesi scientifiche del passato, per avvicinarsi a una verità provvisoria (mai definitiva). Per gli egittologi degli inizi del XIX secolo era del tutto assurdo pensare all'esistenza di una civiltà precedente a quella Egizia; eppure altri archeologi, meno dogmatici, hanno dissepolto Sumer, Ur e le altre città della Mezzaluna fertile, scrivendo sui libri di storia un nuovo capitolo. Le nuove teorie, lungi dal propinare soluzioni facili con basso impegno, puntano a ricercare la spiegazione più plausibile, e perciò la più economica in termini di ipotesi, il che obbedisce ad un criterio scientifico di semplicità, ma non di faciloneria. In particolare, se si ipotizza la presenza di una civiltà evoluta di qualche tipo (chiamiamola pure Atlantide) nel periodo che noi oggi chiamiamo preistoria, ciò fornisce una spiegazione semplice a tutta una serie di anacronismi, coincidenze, analogie (somiglianze evidenti nell'architettura, nelle conoscenze astronomiche, nella mitologia, nella concezione cosmologica dell'uomo e della natura, ecc.) presenti in alcune civiltà storiche distanti tra loro migliaia di chilometri, sulle quali la vecchia teoria è costretta a sorvolare oppure ad invocare una serie di spiegazioni collaterali ed indipendenti.

2) "Dire che le piramidi vennero costruite dagli atlantidi o dagli extraterrestri, non è una "teoria" o un'"ipotesi" in quanto non esiste alcuna prova, benché minima, su cui appoggiarla. Quindi è semplicemente una fantasia senza capo né coda."

Al contrario, a me sembra che siano gli archeologi della cosiddetta scienza ufficiale a pensare di aver raggiunto la verità definitiva e che siano spesso privi di prove certe su cui appoggiare le loro teorie (Es: attribuzione arbitraria delle piramidi di Giza alla IV dinastia).

3) "Lo stesso discorso vale per tutto il resto dell'armamentario fantarcheologico; l'"astronauta" di Palenque, in Messico, le "piste di atterraggio per alieni" di Nazca, in Perù, e altre testimonianze di antiche civiltà prese di mira dagli innamorati del mistero e da chi sfrutta il mercato che ne consegue."

Forse la pazienza di leggere qualche libro occorre allo stesso Domenici. Se infatti avesse dato un'occhiata ai testi che trattano questi argomenti, usciti nell'ultimo decennio, si sarebbe reso conto che ormai l'archeologia eterodossa (la cui frangia extraterrestrialista viene denominata paleoastronautica) è stata sfrondata dalle letture più ingenue e sensazionaliste degli anni '60, come l'uomo di Palenque astronauta e le linee di Nazca astroporto. Queste leggerezze, degne di un Kolosimo o di un Von Daniken hanno caratterizzato la fase giovanile di uno studio che si sta oggi specializzando ed acquistando peso scientifico grazie al contributo interdisciplinare di archeologi, geologi, ingegneri, e professionalità diverse.

4) "Lo stupore di chi crede alla fantarcheologia deriva dall'idea - sbagliata - che gli uomini del passato non avrebbero mai potuto realizzare monumenti come le piramidi, data la loro incapacità ad affrontare e risolvere i problemi che tali costruzioni comportarono. Queste idee derivano evidentemente dalla totale ignoranza della storia della civiltà (al tempo delle piramidi di Giza la civiltà egizia aveva già un passato misurabile in millenni), ma anche - conseguentemente - dall'idea che solo l'uomo moderno sia capace di realizzare qualcosa di notevole."

Il vero punto a questo riguardo è che alcune civiltà del passato hanno realizzato delle opere incredibili e inconcepibili anche per la nostra tecnologia, ed è ovvio che avessero a disposizione delle capacità e delle soluzioni che non riusciamo ancora ad immaginare. Piuttosto la totale ignoranza riguarda i mezzi tecnici con cui sono state realizzate queste meraviglie. Non è più accettabile l'idea di migliaia di schiavi che spostano blocchi da decine di tonnellate sulle rampe, nemmeno per uno stato fortemente organizzato e centralizzato come l'Antico Regno Egizio. Figuriamoci quando si parla dei massi da centinaia di tonnellate movimentati dalle popolazioni quasi sconosciute delle Ande a Tiahuanaco, Sacsahuamàn, Ollantaytambo. Lo stesso vale quando ci si trova di fronte ad incisioni accuratissime (frazioni di mm) e manufatti delicatissimi realizzati in diorite e granito, addirittura da popolazioni predinastiche della valle del Nilo. Sinceramente ,io trovo che l'arroganza di certi archeologi ortodossi sia del tutto fuori luogo di fronte al fatto che non abbiamo la minima idea di come certe opere furono realizzate, mancando completamente, all'appello dei reperti, tracce, manufatti, testimonianze scritte di quali fossero queste tecniche antiche.

Ma non solo. L'idea che gli strumenti della scienza moderna detengano il primato dell'umanità, nel livello di comprensione dell’universo, è una pesante eredità del positivismo ottocentesco, che ha permesso un equivoco durato ormai un secolo e mezzo. E' un dogma assolutamente indimostrabile quello secondo cui le civiltà antiche non possedevano tecnologie avanzate e un sapere di tipo scientifico, ma soltanto una conoscenza del mondo basata sull'empirismo e su un approccio magico verso i misteri della natura. Inoltre, basandosi sull'ulteriore dogma del progresso lineare della civilizzazione, queste conoscenze devono risultare più primitive nelle culture umane più antiche. Queste asserzioni sono state continuamente confutate da decine di reperti anomali di tutte le epoche preistoriche (i cosiddetti OOPART, a questo proposito si legga "Archeologia Proibita" di Michael A. Cremo) e dalle conoscenze astronomiche di civiltà antichissime, esuberanti rispetto alle necessità dell'epoca.

5) "Questo modo di pensare apparentemente inoffensivo, è più insidioso di quanto si pensi. E' un processo che parte dal banale (e ormai insopportabile) "di che segno sei?" e passa tra energie sconosciute, medicine esoteriche, fenomeni paranormali, civiltà superiori, tarocchi, sedute spiritiche, incontri ravvicinati, influenze astrali, presenze aliene, guarigioni inspiegabili, amuleti, maghi, e altro ancora che finisce per indurre all'abbandono anche del più semplice senso critico."

Quest'ultimo punto, evidenziato da Domenici incarna in pieno (sempre secondo il mio modesto parere) i limiti del CICAP che, nello sforzo di "ridurre tutto l'universo a leggi di fisica e di chimica da manuali scolastici" [parafrasando la lettera di Ennio Scannapieco], non ha la minima capacità di discernere i tarocchi e le sedute spiritiche dagli studi ufologici, dalla medicina alternativa, dall'archeologia eterodossa. A dispetto del parere di Montali, personaggi come Steno Ferluga e Margherita Hack non hanno alcuna disponibilità a esaminare fenomeni che esulino dalla loro limitata percezione della scienza. A tal proposito sarei veramente lieto di conoscere il parere del comitato sulle immagini della costruzione sommersa che si trova al largo dell'isola di Yonaguni in Giappone, presentate l'anno scorso durante una puntata di Misteri di Lorenza Foschini. In quella occasione proprio Ferluga aveva tentato goffamente di far rientrare questa rivoluzionaria scoperta nel tranquillizzante ambito del "normale", con delle argomentazioni risibili e al di fuori delle sue competenze, invocando movimenti tettonici capaci di modellare la roccia naturale in forme che possano sembrare artificiali.

Cambiando materia, ho letto con interesse anche l'articolo di Umberto Tirelli sull'oncologia, in cui si afferma che "le autorità sanitarie preposte a livello nazionale dovrebbero impedire che trattamenti non convenzionali sostituiscano o si affianchino ai trattamenti convenzionali prima che i primi non dimostrino una loro attività terapeutica accertata da più ricercatori e che abbiano passato il vaglio dei revisori scientifici di importanti riviste mediche". Le osservazioni dell'oncologo sono chiaramente rivolte (non esplicitamente) alla recente vicenda della sperimentazione sul metodo Di Bella. Ebbene, sull'esito e sulla metodologia dello studio eseguito dall'Istituto Superiore di Sanità ci sarebbe ancora molto da dire: specialmente capire come si possa stabilire l'inefficacia di tale metodo in assenza di un confronto comparativo con l'efficacia della terapia tradizionale su un uguale numero di pazienti con analoghi tipi di tumore allo stesso stadio di avanzamento [in proposito vedere il documento DiBella.htm]. Ho il sospetto che le autorità sanitarie siano preposte ad impedire che trattamenti non convenzionali giungano ad una fase di sperimentazione realmente capace di cogliere la loro presunta efficacia (ciò è valido non solo per l'Italia, naturalmente).

Scusandomi per il disturbo, ed in attesa di un eventuale risposta, invio i più cordiali saluti.


LETTERA AL CICAP - Estate 1999

Egregio Comitato,
la lettura del N°22 di S&P non ha fatto altro che confermare la mia ipotesi secondo cui alcuni membri del CICAP soffrano di una peculiare sindrome denominata "ribaltamento del ragionamento critico". Vorrei analizzare le questioni una ad una.

L’articolo di pag.8 (a firma di Silvano Fuso?), dopo aver assodato per sempre che Atlantide è solamente il parto della fantasia di Platone (senza addurre spiegazioni in proposito), asserisce con certezza che ciò che è stato trovato a YONAGUNI non c’entra nulla con Atlantide, così come i precedenti insuccessi di Bimini e Santorini (tra l’altro ero convinto che il CICAP, come la comunità degli archeologi ortodossi sposasse la teoria di Atlantide a Santorini, che è molto comoda, oltreché insensata). Per fare questa affermazione bisogna sapere che cosa uno si aspetta di trovare caso mai si imbattesse in Atlantide, per esempio: i canali concentrici di Platone? Una statua di Poseidone? un cartello con su scritto "Benvenuti ad Atlantide"? Sarebbe molto ingenuo pensare che nella preistoria sia esistita una unica evoluta città-isola culla della civiltà umana. Infatti non sono d’accordo con i ricercatori che si indirizzano su questa strada. Più sensatamente trovare Atlantide significa trovare tracce sparse della presenza di civilizzazione umana in epoche incompatibili con l’attuale teoria del popolamento della Terra. E cosa sono altrimenti Yonaguni e Bimini se non questo? La spiegazione secondo cui il muro di Bimini è il risultato dello scarico di materiale da costruzione trasportato da navi mercantili è del tutto campata in aria.

Ma il fondo lo si tocca quando delle persone dotate di intelligenza guardano le foto di Yonaguni (come quelle contenute in "Lo specchio del cielo" di Hancock) e affermano trattarsi di una struttura originatasi da processi geologici e geomorfologici naturali. So benissimo che la natura è capace di creare cose incredibili come le bellissime piastrelle esagonali note con il nome di scalinata dei giganti. Ma la natura non è in alcun modo capace di fare quello che si vede a Yonaguni: scalinate regolari, piani interrotti con angoli netti, spigoli rettilinei. Inoltre è veramente curioso che nell’articolo si ascolti il parere del geologo ROBERT SCHOCH che, ironia della sorte, è proprio colui che sostiene l’erosione della Sfinge ad opera dell’acqua (immagino che, secondo voi, su quest’altro argomento non si debba neanche dargli retta). Non siete riusciti a trovare un altro eminente parere oltre al suo? Riportate il pensiero di un solo studioso che, non solo vedeva per la prima volta il sito, ma la cui obiettività di giudizio era pesantemente offuscata dal fatto che, nello stesso periodo, lui e John Antony West si sforzavano di convincere l’opinione pubblica che Atlantide era in Egitto. Ciò è molto ingeneroso nei confronti di un altro geologo, MASAAKI KIMURA, che, invece, a Yonaguni ha trascorso diversi anni, mettendo in gioco la sua reputazione affermando che la struttura è artificiale senza ombra di dubbio (il suo parere non conta? Si sa, questi orientali sono un po’ troppo esoterici). Vi informo inoltre che qualche mese dopo Schoch e West hanno alquanto cambiato idea rispetto alle prime impressioni.

Il punto fondamentale però è ancora un altro. Appreso che la struttura in esame non è formata da blocchi separati (lo sapevamo), ma è composta interamente di roccia solida, questo forse esclude che sia stata scolpita dall’uomo? (oltretutto la stessa foto di pag.8 è sufficiente a far capire persino ad un bambino che è artificiale). Lo stesso Schoch ritiene che potrebbe trattarsi di una cava, e infatti quei tagli irregolari ma netti lo fanno pensare. Fantastico! Allora, per piacere, mi volete spiegare che cosa ci fa a 30 m di profondità? Non è questa finalmente una prova chiara e verificabile di un’ipotesi che possiamo avanzare seguendo tutti i canoni del decantato metodo scientifico? In epoca molto più remota di quel che si pensava fino ad oggi vivevano lungo le coste del Giappone delle popolazioni sconosciute che tagliavano ed usavano grosse pietre (eresia!). Guardate il sito di QENKO, vicino a Sacsayhuaman: è scolpito nella roccia senza l’uso di blocchi. E’ forse naturale? Non assomiglia in maniera sorprendente all’architettura sommersa di Yonaguni? Ah, già! Dimenticavo...questi collegamenti arbitrari tra civiltà sconosciute lontane migliaia di chilometri, sono indice di faciloneria, approssimazione nell’affrontare i problemi di archeologia e mancanza di preparazione in campo storico (è questa se non sbaglio l’accusa più intelligente che Roberto Grassi riesce a fare ai libri di Hancock). Ma senza questi collegamenti non avrebbe senso avanzare una nuova ipotesi di lavoro e scrivere dei libri sulla retrodatazione della civiltà umana. Se uno suggerisce che l’architettura di Tiahuanaco assomiglia a quella di alcuni siti dell’ISOLA DI PASQUA voi ribattete che è un irresponsabile che non ha studiato la storia di quelle popolazioni sui libri di storia ufficiali. Sorpresa! Quel qualcuno è THOR HEYERDHAL, del quale riportate lo studio, fino al punto in cui fa comodo a voi. Infatti l’antropologo norvegese sostiene che le originarie popolazioni dell’Isola di Pasqua provenissero dal Perù, fossero di pelle bianca, ed estremamente specializzate nelle costruzioni con grandi massi (Atlante, Dicembre 1987). Ora, grazie alla scoperta di Yonaguni, tutto ciò potrebbe far propendere per un’origine comune delle civiltà asiatiche, sudamericane e dell’Oceania, considerando anche la similitudine tra i simboli della scrittura di Rapa Nui e di Mohenjo-Daro, in Pakistan.

Le strutture sommerse citate sono comunque in buona compagnia. In particolare in Micronesia, nei pressi dell'Isola di POHNPEI, si trovano numerose colonne e blocchi megalitici sommersi a una profondità di circa 30 m (David H.Childress, "Lost Cities of Ancient Lemuria and the Pacific"). Purtroppo è quasi impossibile controbattere ai vostri ragionamenti circolari, che assomigliano molto a quelli degli egittologi per confutare le tesi di Schoch sull’erosione della Sfinge da parte dell’acqua: "Non è possibile, perché all'epoca non esisteva una civiltà abbastanza evoluta sulla Terra in grado di realizzare quell’opera". Che tipo di obiezione è questa? Non si può rispondere ad un osservazione con la teoria che viene contraddetta dall’osservazione stessa. Intendo dire: se fosse vero che la SFINGE è antica di 9000 anni, sarebbe lei stessa la prova dell’esistenza di una civiltà antichissima, quindi un’obiezione del genere non ha alcun significato (vorrei ricordare che, in aggiunta alle osservazioni di Schoch, il geofisico Thomas Dobecki, tramite l’analisi geosismica, ha evidenziato che l’alterazione superficiale del calcare penetra nel corpo della Sfinge per 0,9 m nella parte posteriore, 2,4 m in quella anteriore, dimostrando che queste furono scolpite a millenni di distanza l’una dall’altra).

Una filosofia simile muove Luigi Garlaschelli quando osserva (pag.31) che per far funzionare le PILE DI BAGHDAD ossidando il ferro è necessario utilizzare degli acidi forti sconosciuti all’epoca, per cui è improbabile che siano veramente delle batterie. Ma che significa ciò? In base alle nostre conoscenze i Parti non conoscevano nulla né di elettricità né di chimica industriale. Un eventuale reperto è proprio lì a tentare di dimostrare il contrario (con lo stesso ragionamento non dovremmo forse concludere che gli Egizi dell’Antico Regno non possono aver costruito le Grandi Piramidi poiché non ci hanno lasciato testimonianze sulle loro conoscenze ingegneristiche?). Quindi se si ipotizzasse che quelle sono pile (follia!) non si dovrebbero avere delle discriminazioni in merito alle conoscenze scientifiche di chi le ha costruite. L’ipotesi, avanzata come ultima spiaggia da Garlaschelli, che possa trattarsi di un oggetto recente è, poi, assolutamente da escludere. Infatti, oltre a quello che diedero a Koenig la prima volta, era già presente una serie di altri oggetti simili, al Museo di Berlino, negli anni ‘20. Questo fatto è osservato anche in "Angeli dei astronavi" (e non "Astronauti") da ROBERTO PINOTTI che Sergio de Santis tenta di fare passare per revisionista, travisando completamente il significato dell’introduzione del libro (unica parte del testo che deve aver letto, di cui non riesce nemmeno a riportare il titolo giusto, a pag.21). Pinotti infatti prende le distanze da personaggi come Von Daniken, ma non certo dalla paleoastronautica, ribadendo con forza la tesi dell’interferenza di intelligenze allogene nella storia dell’umanità, andando proprio a verificare in quali casi si possono riscontrare contemporaneamente testimonianze archeologiche, antropologiche, storiche e tecnologiche di qualcosa di "alieno". Uno degli esempi più convincenti del libro è la possibile correlazione tra i resoconti aeronautici e tecnologici del MAHABHARATA e le tracce di distruzione della città di MOHENJO-DARO, sottoposta inspiegabilmente (avete delle idee al riguardo?) ad una temperatura superiore ai 1500 °C, verso il 2000 a.C. (David Davenport e CNR).

Ritorniamo sulle accuse rivolte, ancora ad Hancock, per il fatto di collegare arbitrariamente piramidi egizie e mesoamericane, distanti fra loro migliaia di chilometri e aventi significati e funzioni diverse. A parte il fatto che questo è falso, visto che anche in Messico sono state rinvenute delle mummie nelle camere sepolcrali e in Egitto non vi sono prove a dimostrare che le piramidi di Giza fossero delle tombe, lo scopo è proprio quello di suggerire delle analogie fino ad oggi sorvolate. Non solo.

Cosa ci fanno sparse per il mondo altre decine e decine di PIRAMIDI? Sono tutte coincidenze, immagino. In CINA, nella pianura del Qin Chuan, e nella valle del Qin Lin, nei pressi di Xi’an, si trovano più di 100 piramidi di varie dimensioni (fonte: Nexus N°3). Fotografate dal tedesco Hartwig Hausdorf, appaiono come dei tumuli di terra ricoperti di vegetazione, ma potrebbero nascondere un nucleo di pietra, allo stesso modo delle Piramidi del Sole e della Luna di Teotihuacan, a cui alcune di queste assomigliano. Così come si somigliano gli ideogrammi cinesi e la scrittura olmeca (fonte: Han Ping Chen e Mike Xu). Spedizioni archeologiche documentarono la presenza di sepolture piramidali già all’inizio del secolo. La Grande Piramide Bianca, la più imponente tra queste, con un’altezza stimata di 300 m, venne fotografata da un aereo durante la seconda guerra mondiale. Fotografie da satellite dell’Aeronautica americana evidenziano l’esistenza di decine di piramidi. Ancora, nel ’97 una spedizione archeologica ha scoperto nel territorio dell’Altai, nella SIBERIA meridionale, un gruppo di piramidi del IV secolo a.C. (?), simili a quelle azteche. Infine, fin dagli anni ’70 fotografie da satellite (Spot Image) sembrano evidenziare la forma di grandi piramidi e strutture parallelepipede nel folto della foresta amazzonica della regione di PANTIACOLLA in Perù.

Alquanto disarmanti le considerazioni presentate sulle carte nautiche di PIRI RE’IS e di ORONZIO FINNEO da Ronald D. Story e Roberto Grasso. Il punto fondamentale nella mappa dell’ammiraglio turco non sarebbe la presenza della linea di costa dei continenti sudamericano e africano collocati approssimativamente nella giusta longitudine (e in questo differisce parecchio da tutte le altre carte medievali della stessa zona, in cui i profili dei continenti sembrano disegnati dai bambini delle elementari di oggi). Bensì il fatto che è disseminata di imprecisioni geografiche. Questo è risaputo, visto che lo stesso Piri Re’is, ammettendo di aver copiato da carte precedenti, introduce nel mappamondo gli errori dovuti alle limitate conoscenze geografiche della sua epoca. Nessuno poteva avere ancora cartografato il Brasile, per cui il Re’is, ignaro, ci appiccica un altro pezzo di carta che riportava l’Antartide. Infatti, il colonnello OHLMEIER non se l’è sognata di notte la somiglianza di quella parte della carta con la Costa della Terra della Regina Maud e con la Penisola Antartica. Semplicemente l’ha confrontata con il profilo sismico effettuato nel 1949, la cui esistenza dovrebbe essere nota ad un geologo come Grasso. Su questo punto, quindi, gradirei da lui una risposta, poiché, o non ha letto attentamente il libro di Hancock, oppure fa delle affermazioni in malafede.

Ancora meglio con la mappa del geografo francese. Il fatto che un cartografo del XVI secolo raffiguri a sud di Africa e America, una massa continentale chiamata Terra Australis è di per sé incredibile. Ma a Grasso non basta, e va a sindacare sul fatto che sulla carta sono assenti la Terra di Wilkes, il Bacino di Amery, la penisola antartica (e già che ci siamo anche una nota colonia di pinguini che senz’altro si era stabilita da quelle parti verso la metà del ‘500). Qui veramente faccio fatica a comprendere il ragionamento: all’epoca di Finneo nessuno immaginava che ci fosse una vasta terra così a sud, quindi sindacare sulla precisione della carta mi sembra un problema secondario. In secondo luogo la topografia subglaciale dell’Antartico è ignota (a parte le limitate prospezioni geosismiche), per cui non si può affermare con certezza quali coste abbia disegnato Finneo. E infine per spiegare razionalmente il tutto si suggerisce che potrebbe trattarsi dell’Australia mal disegnata. Ma da chi nel XVI secolo? (questo, se mai sposta, il problema sull’autore di una mappa dell’Australia così antica). Questa trovata assomiglia molto alla vostra pietosa spiegazione "razionale" del fenomeno dei cerchi nel grano: le corse in tondo nei campi dei ricci in calore. Inoltre vorrei aggiungere al novero delle carte "fuori fase" alcune mappe in cui si osservano calotte glaciali sul Nord Europa, il Sahara occupato da una verde pianura ricca di fiumi e laghi, un lembo di terra al posto dello stretto di Bering: caratteri morfologici compatibili con il clima dell’era glaciale tra il 15000 a.C. e il 10000 a.C.

Per fortuna Grasso è magnanimo con CHARLES HAPGOOD e lo perdona, dato che quando scrisse, la teoria delle deriva dei continenti di Wegener non era ancora stata accetta e confermata dai dati. Il fatto che i dati confermino la tettonica a placche non significa che neghino la possibilità alla crosta di muoversi sull’astenosfera come un tutt’uno; così come la teoria Hapgood non contraddice affatto il movimento delle zolle, potendo convivere benissimo entrambi i tipi di movimento della crosta. Hapgood, pur non avendo a disposizione le osservazioni geofisiche più moderne (1957), in effetti basa le sue conclusioni su un insieme di dati paleontologici, paleoclimatici, e orogenetici che sono validi ancora oggi. Grasso è così convinto che non esistano evidenze paleontologiche di un movimento così straordinario della crosta terrestre? Perché decine di migliaia di MAMMUT congelati sono accatastati in tutta la Siberia, morti pressoché contemporaneamente alla fine dell’ultima glaciazione? Pur ammettendo che i mammut fossero animali adatti al clima freddo (il che non è vero perché i dati paleoclimatici indicano che la Siberia era un’area a clima temperato durante il periodo glaciale) una moria così generalizzata e improvvisa (alcuni esemplari avevano nello stomaco i resti di erba non ancora digerita) può essere spiegata solo da qualche tipo di cataclisma. Quindi, nonostante il parere degli edotti geologi, la teoria di Hapgood suggerisce un’unica spiegazione semplice a diverse questioni insolute osservate (come ci si aspetta da una teoria formulata secondo i criteri del metodo scientifico): 1) estinzione di massa di grandi mammiferi dalle Americhe e dalla Siberia, 12000-10000 anni fa; 2) irregolare distribuzione delle calotte artiche attorno ai poli durante l’ultima glaciazione (Nord America coperto e Siberia libera) dovuto al posizionamento variabile dei poli in seguito ad ogni scorrimento; 3) la correlazione tra cicli di glaciazione e cicli orogenetici (spostamento della crosta => sconvolgimenti e movimenti orogenetici generalizzati => fine del periodo glaciale) e l’irregolare intervallo di tempo intercorrente tra due successive glaciazioni; 4) lo sviluppo della glaciazione Permocarbonifera nelle zone tropicali di Africa, Asia e Australia, spiegabile con uno spostamento dei poli (a meno di voler ammettere una coltre ghiacciata estesa su tutto il pianeta). (Elementi di geografia fisica, Gian Camillo Cortemiglia, Università di Genova, 1968).

Ritengo quasi superfluo ribattere alle considerazioni trite e ritrite sulle LINEE DI NAZCA (pag.23-24): siamo tutti d’accordo da tempo che non può trattarsi di uno spazioporto. Innanzitutto è impossibile datare le linee (il fatto che ci siano i resti della tribù Nazca non significa che loro ne siano gli autori). Inoltre l’utilizzo eventuale di mongolfiere non diminuisce minimamente il carattere di stranezza di quest’opera, poiché una visione dall’alto non può fare nulla se i tracciatori a terra non sono in possesso di conoscenze sofisticate di geometria e topografia, necessarie per realizzare degli allineamenti che superano montagne e colline e dei disegni dalle proporzioni in scala perfette. I Nazca certamente non possedevano queste capacità e soprattutto non hanno lasciato reperti raffiguranti qualcuno dei famosi pittogrammi.

Alla fine di tutte queste considerazioni mi chiedo: invece di riempire due pagine (44-45) con inutilissime speculazioni pseudopedagogiche sul perché la gente si ostini a comprare i libri di fantarcheologia (anziché leggere i testi scolastici di storia e scienze che, immagino, contengano tutta la verità sullo scibile umano), perché Sergio De Santis non dedica una parola a quei reperti veramente OOPART che attendono un qualche tipo di spiegazione "razionale"? Avete nominato il GEODE DI COSO e il calcolatore di ANTIKYTHERA. Vorreste favorirmi la vostra teoria preferita su questi due manufatti? Il famoso oggetto trovato nelle montagne californiane era incrostato di conchiglie fossili e rovinò la lama di una sega al diamante che tentava di sezionarlo. L’oggetto ritrovato nell’Egeo è l’unico esempio di meccanismo ad ingranaggi nell’antichità.

Questa però è solo la punta dell’iceberg di una serie di centinaia di reperti assolutamente fuori collocazione, come strumenti metallici ritrovati inclusi in formazioni rocciose (vasi, chiodi, tubi) ossa fossili umane sepolte in strati geologici vecchi di milioni di anni (scheletro completo di Homo Sapiens moderno a Olduvai George, in Tanzania, 1-2 milioni di anni, dal Dott. Hans Reck, 1913; ossa di Homo Sapiens a Brescia, dal geologo Giuseppe Regazzoni, in strato del Pliocene, 1860), impronte di umanoidi impresse su formazioni rocciose sedimentarie (impronte umane accanto a quelle di due sauri, datate 140 milioni di anni, dall’archeologo Carl Baugh e dal geologo Hilton Hinderliter, in Texas).

Ancora De Santis, perché non degna di una parola il problema del sollevamento del famoso masso da 400 TONNELLATE per 600 metri su per le alture di Macchu Picchu (o di Sacsayhuaman, o di Baalbek). Non sarà stata l’antigravità. Allora potrebbe spiegarmi come si fa, per piacere? E soprattutto come fece una popolazione che non aveva alcuna esperienza di costruzioni megalitiche (come testimoniano le cronache dei conquistadores)?

Infine vorrei sottolineare un’altra bella gatta da pelare per le teorie degli egittologi classici. CHRISTOPHER DUNN, esperto minerario, ha analizzato diverse superfici in granito, che risultano lisce al 1/50 di millimetro e altri manufatti perfettamente squadrati risalenti all’Antico regno. Dalla linea del taglio su alcune "carote" di granito a Giza si deduce che gli strumenti utilizzati nella perforazione avevano una velocità di penetrazione superiore a quella degli strumenti odierni. Una vasta produzione di vasellame in diorite, basalto e quarzo, rinvenuta a Saqqara e a Naqada, presenta: coppelle con incisioni nettissime spesse 0,16 mm, vasi, anfore e altri oggetti comuni arrotondati e modellati con simmetria in un modo che si può ottenere solo con la lavorazione al tornio; superfici perfettamente levigate (una lente di cristallo appare molata meccanicamente), brocche e fiale con un elegante collo allungato e sottilissimo (la roccia è stata scavata da fuori, attraverso un’apertura di pochi mm operazione che anche oggi è semplicemente impossibile). ("Da Atlantide alla Sfinge", Colin Wilson). Queste incongruenze erano già state evidenziate da F. Petrie nel secolo scorso, ma non mi sembra che qualcuno abbia tratto le logiche conseguenze, e cioè che risultati del genere, ovviamente, non sono ottenibili con strumenti di rame, figuriamoci se azionati a mano! Caro De Santis, gli studiosi "competenti" in materia si astengono dal giudizio "per non sprecare il loro tempo nella confutazione di teorie senz’alcun fumus di credibilità", oppure semplicemente perché non hanno la più pallida idea di come controbattere? Le ricordo, per rispetto dei sostenitori dell’archeologia eterodossa, che il loro bel Ph.D. lo posseggono quasi tutti gli autori di questi famigerati testi di spazzatura pseudoscientifica (come il simpatico Grasso ama chiamarla), pubblicati negli ultimi vent’anni. D’altra parte un prestigioso titolo accademico non basta a rendere un ricercatore obiettivo e aperto di mente. Fulgidissimo esempio è ZAHI HAWASS, più volte ospite a Misteri su Rai 2. Alla domanda sul perché le piramidi della IV dinastia siano completamente prive di geroglifici pertinenti al periodo (le iscrizioni degli "Amici di Cheope" nella camera di scarico sono un falso di Howard Vyse) lui risponde argutamente : "Perché è così". Sul problema anzidetto del taglio delle pietre, sollevato in studio dal documentario di Bauval, Hancock e West, glissa accuratamente.

Questi ricercatori di frontiera! Giocano il ruolo delle vittime, per atteggiarsi ad eroi in lotta contro l’oscurantismo dell’establishment accademico. Ora vi racconto un episodio molto istruttivo sul modo di procedere della scienza archeologica e sull’apertura mentale della comunità accademica. Negli anni ’60 un’équipe di archeologi lavorava a resti di utensili di antichi cacciatori a HUEYATLACO, nel bacino del Valsequillo, in Messico. Le stime ottenute con il metodo radioattivo della serie di uranio e tramite il confronto di ceneri vulcaniche da parte della tefrocronologista Virginia Steen-McIntyre mostrarono un’età superiore ai 200000 anni. Una datazione troppo scandalosa per la teoria ortodossa sul popolamento delle Americhe. Per cui la relazione del gruppo venne sabotata, i risultati non furono mai pubblicati su una rivista scientifica, la geologa in questione non ha potuto mai più esercitare la sua professione, mentre un’altra studiosa, accondiscendete sulla datazione consentita dal dogma, ebbe l’onore della pubblicazione nella letteratura scientifica. Quindi, chi ,veramente, adatta i fatti alle teorie? Non sarebbe l’ora di adattare le teorie ai fatti? Vi propongo un offerta. Io ho speso 20000 lire per il vostro simpatico fascicolo (utile secondo me a fare da spessore sotto le gambe dei tavoli). Voi potreste spenderne 39000 per un’opera di 440 pagine: ARCHEOLOGIA PROIBITA di MICHAEL CREMO e RICHARD THOMPSON, (Gruppo Editoriale Futura, 1997) che cataloga una serie impressionante di reperti e relazioni occultate (sullo stile di quella che vi ho raccontato). Al termine della lettura mi risponderete, spiegandomi le motivazioni scientifiche per cui quei reperti vanno esclusi dal novero della nostra conoscenza archeologica sulla razza umana.

In conclusione, ho letto con divertimento la vostra curiosa elemosina di fondi per acquistare una sede permanente al CICAP. Non vi basta il monopolio della divulgazione scientifica sulla TV di stato? (responsabile dello stravolgimento dello spirito originario della trasmissione "Misteri", che avrebbe dovuto chiamarsi "Certezze", per la sicurezza con cui propinava la verità rivelata per bocca di Steno Ferluga).

Cordiali saluti.


LETTERA ALLA REDAZIONE DEL CORRIERE SCIENZA 18/11/2000

Egregio Signor Domenici,

in riferimento a ciò che Lei scrive sul Corriere Scienza del 12/11 scorso, trovo che "l'ondata irrazionale" si sia principalmente impossessata della Sua persona e non dei lettori di quella che Lei chiama FANTA-ARCHEOLOGIA. Lei usa con disinvoltura un tono da crociata culturale o da Santa Inquisizione che mi ha lasciato veramente sconcertato. In poche righe Lei  afferma che:
- TUTTA la produzione libraria sull'archeologia non ortodossa è spazzatura;
- i lettori di questo materiale sono tutti dei CREDULONI ignoranti pronti ad abbracciare culti fideisti per soddisfare il loro desiderio di occulto e mistero;
- questi libri hanno invaso gli scaffali che non gli competono, prendendo il posto dei veri testi di archeologia;
- conduttori televisivi senza scrupoli organizzano vere e proprie trappole in cui i professoroni vengono attirati con l'inganno per servire la causa dei propinatori di bufale.

Caro Domenici, ritorniamo a un livello RAZIONALE di discussione, per piacere.
Quale libreria ha visitato nel centro di Milano? Io recentemente sono stato alla Feltrinelli ed ho constatato che i libri di cui Lei parla sono tranquillamente relegati nel reparto New-Age o spiritualità, mentre gli scaffali di archeologia o antropologia sono ancora riempiti dai tranquillizzanti testi che raccontano la stessa storia dell'umanità che ho imparato sui libri delle medie e del Liceo. Ogni autore che si permetta di uscire un poco dai binari segnati dalla cronologia ufficiale e dalla versione autorizzata è secondo Lei un fautore dei contatti alieni?
Questo denota una scarsa conoscenza della materia di cui Lei pretende di parlare su un quotidiano di tiratura nazionale. Le sembrerà strano ma alcuni degli abietti autori dei libri di fanta-archeologia sono ingegneri, giornalisti, geologi, (a volte persino archeologi) che si pongono delle domande che altri storici e archeologi non si sono mai posti, che tentano di dare delle risposte RAZIONALI dove invece gli "esperti" propongono delle spiegazioni irrazionali, di comodo, basate sulla consuetudine (su questo Lei ha senz'altro ragione: per decenni gli studiosi "seri" hanno semplicemente ignorato le questioni scomode: è la tattica migliore per relegare tutto il problema nell'oblio).
Domande scomode del tipo:
- Con quale tecnologia sono stati prodotti monili fenici e punici che presentano filamenti metallici del diametro di 1/10 di millimetro, con tracce di elettrosaldatura per deposizione galvanica? (fonte: Prof. Roberto VOLTERRI, archeologo dell'Università Tor Vergata di Roma)
- Chi ha realizzato gli oggetti metallici dalle dimensioni microscopiche (1 micrometro) ritrovati in Russia in sedimenti antichi circa 200000 anni? (fonte: Sebastiano Fusco, direttore di Mystero)
- Con quali strumenti nell'Antico Egitto si lavoravano il granito e la diorite in modo da ottenere superfici lisce al 1/50 di millimetro, carote di trivellazione con una velocità di penetrazione di  2,5 mm a giro e i sottilissimi vasi di Naqada? (fonte: Christopher Dunn, ingegnere esperto in trivellazioni)
- Qualche équipe di ricercatori è mai riuscita a spostare e sollevare blocchi di 300 tonnellate in giro per le Ande utilizzando la sola forza di braccia umane? Anzi, esiste al mondo un'impresa di costruzione che sappia come farlo anche utilizzando tutta la tecnologia moderna a disposizione?
- Perché centinaia di reperti, rinvenuti in tutto il mondo dal 1850 in poi, che dimostrano un'antichità dell'uomo di milioni di anni, sono semplicemente scomparsi dalla letteratura scientifica? (fonte: Michael Cremo e Richard Thompson in "Archeologia Proibita")

Questo è solo un assaggio che Le propongo per mancanza di spazio e di tempo. Però mi permetto di insistere sull'ultimo libro succitato. Archeologia Proibita, nella sua versione integrale è un volume di 900 pagine che elenca tutti i manufatti umani, le ossa fossili di Homo Sapiens, le impronte fossilizzate nella roccia che sono stati ritrovati in gran quantità in posizioni stratigrafiche dal Pliocene al Giurassico. Curiosamente l'autore non propone nuove teorie su antichi alieni, ma cerca solo di far conoscere questa mole di dati SCIENTIFICI alla comunità archeologica, intervenendo e dialogando ai Congressi internazionali di paleontologia. Se Lei avesse l'umiltà di dare un'occhiata alla versione commerciale del libro (Gruppo Futura 1997, che si trova senz'altro nello scaffale del mistero, non si preoccupi!) si accorgerebbe della correttezza intellettuale che possono avere certi autori eretici.

Sorvolando ora sul modo in cui Lei ha simpaticamente insultato l'intelligenza di una buona parte di lettori italiani (io sono tra quelli), passiamo alla televisione. Senz'altro Lei intendeva riferirsi alla trasmissione Stargate di TMC (è l'unica che ha parlato di questi argomenti nelle ultime settimane). Quello che io ho potuto vedere in quasi tutte le puntate del programma è il dibattito spesso sterile tra le due "fazioni" rappresentate in studio, moderato da un conduttore, Roberto Giacobbo che timidamente propone agli esperti ortodossi qualche interpretazione alternativa, sottolineando continuamente (Lui per primo) che si tratta di ipotesi da verificare. Generalmente le reazioni di quella parte consistono in risolini beffardi e la ripetizione della solita storiella vecchia di 150 anni. Mai è stato fatto mancare il diritto di replica ad alcuno. Anzi molto spesso sono i sostenitori della posizione alternativa che riescono a malapena a dire mezza frase e a scuotere la testa di fronte alla prevalenza del tempo dedicato ai rispettabilissimi signori di cui sopra. Quindi, caro Domenici, a quale complotto televisivo avrà mai assistito?

In conclusione, mi pare che la Sua predica domenicale sul Corriere sia veramente eccessiva e sinceramente non capisco quali pericoli di ordine pubblico si annidino dietro ai misteri delle piramidi. Cosa c'entrano le civiltà scomparse con gli incantesimi e le cure miracolose? Cosa vuol dire questo tono di terrorismo sull'ondata di irrazionalità New-Age? Perché fa di tutte le erbe un fascio? Quali sono i loschi scopi dei propinatori di bufale che approfittano della nostra credulità: fare soldi? convertire il pubblico ad una religione adorante gli alieni? Di che cosa ha paura: che gruppi di fondamentalisti Atlantidei organizzino attentati contro i professori di archeologia? O che nelle scuole qualche studente cominci a fare delle domande intelligenti ai suoi insegnanti?
Io trovo molto più pericoloso l'atteggiamento fideista di chi crede di essere il detentore della ragione illuminista, paladino della verità definitiva e si sente in diritto di mettere all'indice il lavoro di chi non la pensa come lui, senza nemmeno conoscerne le ragioni.
Continuerò a seguire con estrema attenzione la sua rubrica e a replicare, «pur sapendo (per usare le Sue stesse parole) che qualsiasi spiegazione non farà cambiare idea neppure a uno dei FEDELI» dei dogmi inattaccabili dell'archeologia.
Cordiali saluti,

Mauro Quagliati

LETTERA ALLA REDAZIONE DEL CORRIERE SCIENZA 18/11/2000

Egregio Signor Bignami,

a mio parere l'articolo sulla struttura di Yonaguni, del Corriere Scienza di domenica scorsa, non esponeva tutte le informazioni in maniera obiettiva.
Il fatto che il complesso roccioso in esame sia stato prodotto ESCLUSIVAMENTE da fenomeni naturali è la rispettabilissima opinione di Lei che scrive e dei geologi di cui cita le dichiarazioni. Invece l'articolo lascia ampiamente intendere che questa è la conclusione definitiva a cui è giunta la maggioranza degli studiosi interpellati in materia, che hanno così risolto in maniera soddisfacente l'ennesimo falso mistero. Dato che molti altri sono convinti del contrario forse una sospensione del giudizio sarebbe più opportuna.
La portata delle affermazioni del Dott. Kimura non è affatto ridimensionata, dato che "struttura parzialmente modificata dall'uomo" significa comunque che qualche civiltà avrebbe tagliato e scavato quella roccia preesistente più di 8-10 mila anni fa.
Questa ipotesi non viene scartata a priori nemmeno da Wolf Wishmann che nell'intervista trasmessa da Stargate qualche settimana fa dice testualmente che sebbene non ci siano le prove, "popolazioni locali potrebbero aver usato strutture esistenti in natura modificandole" (ho registrato la puntata che ho appena controllato). Quindi la citazione è incompleta.
Chiamare in causa poi il parere sfavorevole di Robert Schoch in modo così parziale mi è sembrato paradossale e volutamente scorretto, per 2 motivi.
1) Il geologo americano ha dichiarato che Yonaguni era una struttura del tutto naturale circa 3 anni fa, dopo aver visto solo le foto del sito circolate via Internet. In seguito alle immersioni che ha svolto lui stesso, si è convinto che sul complesso roccioso naturale ci siano segni di attività umana, tali da suggerire l'idea che si tratti di una specie di cava per l'estrazione di blocchi da costruzione.
2) Si è ritenuto superfluo ricordare che Schoch e un nutrito gruppo di geologi americani sono concordi nell'affermare che il corpo della Sfinge e il recinto che la contiene sono stati erosi dall'acqua piovana, fatto che fa risalire la statua alla stessa presunta età del "monumento" giapponese. Quindi: degno di citazione su Yonaguni, ciarlatano sull'Antico Egitto. O sbaglio?
In definitiva almeno i tre più importanti geologi interessatisi alla materia sembrano giungere alla stessa conclusione possibilista sulla fattura artificiale di diversi aspetti di Yonaguni. Ciò ribalta completamente la tesi esposta sul Corriere Scienza.
 Per quel che riguarda la capacità della natura di produrre geometrie, l'argomento è certamente spinoso, ma la scalinata dei giganti è una cosa alquanto diversa da quello che si vede al largo di Yonaguni. La prima osservazione da fare è che i terremoti e l'acqua producono due effetti opposti sulla forma di un ammasso roccioso. Se l'effetto dei primi è produrre fratture verticali e staccare massi con il movimento tellurico, quello del mare è di scavare, levigare, arrotondare, alterare chimicamente le superfici (non certo preservare gli spigoli vivi, specialmente trattandosi di arenaria).
Giudicando solo da quello che si è visto in televisione e in alcune foto, la mia opinione personale è che quei gradoni di diverse altezze non sempre sono la traccia di famiglie di linee di fratturazione. Guardando la sezione trasversale di diverse scalinate si nota che il piano della "pedata" si interrompe improvvisamente allo scalino successivo: la traccia della presunta discontinuità naturale, che spiegherebbe il piano orizzontale, non continua nel corpo del successivo scalino.

Questo sembra l'indizio di un taglio artificiale.
Poi ci sono diversi esemplari di parallelepipedi perfetti (il più notevole è quello nella fotografia da voi pubblicata), che sembrano proprio avere la posizione di scalini, per passare tra 2 piani ad altezze molto diverse. E' una coincidenza notevole che ci siano 3 famiglie di discontinuità naturali della roccia, che formano esattamente angoli di 90° tra di loro.
Inoltre le superfici della struttura presentano diverse scabrezze anche naturali, ma nelle zone in cui si vedono le forme geometriche i piani sono perfettamente livellati e gli spigoli sono rettilinei per decine di metri. Se quello è il prodotto di un distacco violento di rocce, avvenuto lungo fratture preesistenti, mi aspetterei di vedere spigoli "sporchi" con sbavature di roccia in varie direzioni. Si aggiunga a tutto ciò che il moto ondoso, l'erosione marina, e la vegetazione concorrono a smussare la geometria, non certo ad aumentarla. Le rocce della costa all'aperto (sempre giudicando a vista dal filmato di Tmc) non presentano delle superfici levigate, ma arrotondate e butterate dalla tipica forma di erosione marina, e non ho visto nessun parallelepipedo simile a quelli sott'acqua. Inoltre è assurdo affermare che la copertura di alghe e spugne fa apparire le irregolarità naturali più perfette di quello che sono. Ovviamente i microrganismi, quando si insediano in anfratti, penetrano e disgregano la roccia alterandone la forma e aumentandone l'irregolarità.
Per quanto riguarda l'eventuale valenza archeologica della costruzione, nel mondo abbiamo validi esempi di costruzioni umane non formate da massi ma semplicemente modellate nella roccia. Una, in particolare, presenta una struttura a gradinate, terrazze e grotte che somiglia notevolmente a quella giapponese: si tratta di QENKO, poco distante da Sacsayhuaman, in Perù. Non sarà del tutto casuale trovare un ulteriore legame tra le culture americane e quelle asiatiche o polinesiane, dato che le "coincidenze" nei caratteri architettonici, negli stili decorativi, nei simboli della scrittura, nella mitologia e nella religione delle due sponde opposte dell'Oceano Pacifico sono numerosi e ampiamente documentati. Giusto per fare un esempio, Thor Heyerdhal sostiene che la cultura più antica presente sull'Isola di Pasqua sia la stessa che ha fondato Tiahuanaco. Il famoso antropologo norvegese (uno che non è pratico di alieni) basa le sue affermazioni sul raffronto dello stile megalitico di costruzione e su affinità somatiche.
 Infine, è abbastanza normale non riuscire a trovare reperti archeologici nelle vicinanze, viste le correnti marine e la supposta antichità del sito.
Cordiali saluti,

Mauro Quagliati

LETTERA ALLA REDAZIONE DEL CORRIERE SCIENZA 10/12/2000

All'attenzione di Luigi Bignami.

Egregio sig. Bignami,
con il ridimensionamento della carta di Piri Re'is non ci siamo proprio.
La informo che il 25-26 marzo scorso, in occasione del 1° Simposio Mondiale sulle origini perdute della Civiltà e gli Anacronismi storico-archeologici, Michele Loda (allora laureando in fisica) ha esposto i risultati di una sua ricerca dettagliata sulle carte nautiche medievali. Ebbene, ha confermato in maniera accurata la corrispondenza tra la Terra della Regina Maud disegnata dal Re'is e il profilo sismico. Gli invierò una copia di Corriere Scienza in modo che lui stesso  possa risponderle.

Il fatto che liberando l'Antartide dai ghiacci il livello del mare e la costa stessa si alzerebbero, è verissimo. Forse le è sfuggito che ironicamente questi due effetti si compensano! Non voglio dimostrare che si equilibrano nella esatta misura in cui la linea di costa corrisponderebbe al rilievo attualmente conosciuto, però non è impossibile.
Comunque tutto ciò potrebbe non essere per forza pertinente. Infatti quello che si ipotizza (già Hapgood lo aveva suggerito) è che solo la parte meridionale dell'Antartide possa essere stata libera dai ghiacci solo poche decine di migliaia di anni fa. Alcune datazioni con il metodo dello Iodio confermano delle zone temperate nel Mare di Ross verso il 10000 a.C. Non solo. Se c'è la possibiltà che le posizioni dei Poli siano mutate in tempi relativamente recenti (vedi Ammiraglio Flavio Barbiero) anche sciogliendo una buona parte del ghiaccio antartico spostato in zona temperata, il livello del mare sarebbe equilibrato a lungo termine dalla formazione di nuovo ghiaccio all'interno dei circoli polari, sia a Nord che a Sud.
E infine, una volta stabilito che quelle coste si assomigliano effettivamente, mi pare inutile cercare altre giustificazioni teoriche per spiegare che invece non dovrebbero.

Inoltre non ha accennato al fatto che nella carta di Piri Re'is le coste sudamericane (imprecise per carità!) e quelle africane sono poste alla corretta longitudine relativa, nella proiezione cartografica centrata sul Cairo proposta da Hapgood. Questo risultato è impossibile per i cartografi medievali prima del XVIII secolo. Detto per inciso, non mi pare che il professore della Royal Geographic Society affermasse che antichissime popolazioni avrebbero sorvolato il continente per fotografare il Polo Sud: questa ipotesi è invece da attribuire a Von Daniken.

Cordialmente,

ing. Mauro Quagliati


P.S. :
-  Attendo sempre un qualche giudizio, da parte vostra o del CICAP, su "Archeologia Proibita" di Michael Cremo.
-  Sarei curioso di sapere se sono l'unico "obiettore" che vi scrive o se sono in buona compagnia. In entrambi i casi una risposta in forma privata non sarebbe sgradita.

-  Non ho ancora mandato la risposta alla rubrica del 26/11 perchè sto aspettando le analisi di una delle pietre di ICA da parte del Prof. Clarbruno Vedruccio dell'ISMOE di Urbino, promesse su Hera, il mensile di misteri archeologici diretto da Adriano Forgione.

LETTERA AL CICAP 12/09/2002

 In relazione alle osservazioni contenute nel sito www.cicap.org sul fenomeno dei crop circle, con particolare riferimento a quanto scritto da Silvano Fuso, trovo simpatica l'evoluzione del parere del CICAP in merito, ricordando i primi tempi in cui si avanzava l'ipotesi che fossero i ricci in amore che, correndo in tondo, lasciavano le loro tracce.

Leggo che i lavori di Levengood e di Haselhoff sono considerati come esempi minoritari di studio dell'argomento, essendo stati ignorati dal resto della comunità scientifica, e le loro conclusioni non riproducibili:

--- nelle sue analisi sulle modificazioni anatomiche delle piante di grano, egli non ha mai adottato nessuna procedura in "doppio cieco" per evitare l'effetto sperimentatore. In pratica il ruolo delle aspettative e la sua "fede" nella teoria di Meaden possono avere fortemente influenzato le sue conclusioni. Secondariamente, nessun altro ricercatore è mai riuscito a riprodurre i suoi risultati. ---

Avendo letto il libro di Haselhoff, posso esprimermi solo su quest'ultimo, ad esempio, nel lavoro sperimentale condotto sulla lunghezza dei nodi delle spighe all'interno di un cerchio olandese abbastanza recente. Eseguito un campionamento statisticamente significativo (20-25 campioni per punto), secondo le direttrici radiali suggerite dall'ipotesi di lavoro, trova non solo un'evidente aumento medio della lunghezza dei nodi interni rispetto a quelli delle piante di controllo, ma anche una correlazione con la distanza, ben approssimata dall'inverso del quadrato. La procedura complessa di campionamento e misurazione fotografica delle piante esclude decisamente l'intervento inconsapevole di un "bias" soggettivo del ricercatore in corso d'opera, potendosi prefigurare, soltanto come ipotesi scettica estrema, una totale falsificazione dei numeri e dei grafici, alla quale una persona scientificamente solida come Haselhoff potrebbe ribattere facilmente mettendo a disposizione le piantine, i dati, i calcoli ad un collega qualificato. Purtroppo la "riproducibilità" dell'esperimento si fermerebbe a questo aspetto di ripetizione delle misure, mentre per trovare un altro fenomeno  che riproduca lo stesso pattern di alterazione bisogna anche trovare una nuova formazione che manifesti quelle alterazioni (se uno facesse le stesse analisi sulla faccia di Crabwood Farm, è molto probabile che non lo troverebbe).
Quello che non mi aspetterei è una critica di questo tipo:

--- Anche ai lavori di Haselhoff può essere rivolta la stessa obiezione basata sul totale disinteresse del resto della comunità scientifica. Se essi fossero veramente significativi, perché sono stati sostanzialmente ignorati dal resto della comunità scientifica? Come sempre accade "l'onere della prova spetta a chi fa l'affermazione". Quindi non è il resto della comunità scientifica che deve confutare quello che lui afferma. È lui che deve riuscire a convincere il resto della comunità scientifica dell'attendibilità di quanto sostiene. ---

Allora, scusate ma non ho capito. il dott. Haselhoff ha evidenziato, in quella determinata occasione, un fenomeno inspiegabile, o per lo meno, chiaramente non ottenibile tramite lo schiacciamento meccanico, il che indica che una frazione dei crops nel mondo sono stati ottenuti in qualche altro modo. Ha fatto il suo lavoro di scienziato e attende un responso dalla comunità scientifica basato su critiche oggettive, oppure delle controproposte che confutino l'ipotesi da lui avanzata di una sorgente elettromagnetica puntiforme posizionata al di sopra delcentro del cerchio. Se la maggior parte della "comunità" decide di ignorarlo perché non ha voglia di sporcarsi le mani con un fenomeno che è troppo contaminato dal pregiudizio e squalificato irrimediabilmente dalle false dichiarazioni dei 2 celebri pensionati, allora poverino, le sue osservazioni non hanno un granché di valore scientifico.
Soprattutto perché, come tiene a sottolineare Fuso:

--- Per quanto riguarda il fatto che tali lavori siano stati pubblicati su riviste serie, va osservato che le riviste scientifiche con referees esercitano senz'altro un'azione di filtraggio, ma non necessariamente questo filtraggio è infallibile. Se si ricercasse nella letteratura scientifica seria, si troverebbero facilmente molti "articoli spazzatura" su qualunque argomento. I referees evidentemente non hanno la possibilità di controllare l'attendibilità di tutti i dati citati negli articoli esaminati.---

Scusate, ma a che gioco stiamo giocando? Prima se un "non ortodosso" non riceveva l'avvallo di una qualche rivista scientifica non aveva nemmeno il diritto di parlare. Poi se malauguratamente questo succede, allora vuol dire che i censori della testata forse non sono stati abbastanza severi? Potrebbe allora il CICAP fare, per piacere, una cernita, all'interno della letteratura scientifica per selezionare gli articoli spazzatura? Sarebbe un lavoro molto utile per l'umanità. Rimanendo sui crops, o qualcuno fa una critica circostanziata alla metodologia o ai dati di origine del lavoro di Haselhoff, oppure non è accettabile un discorso che suggerisce diversi gradi di scientificità a seconda del numero di adesioni che riceve e delle citazioni nei lavori altrui.
Per finire:

--- Va infine notato che non vi è mai stata nessuna conferma che le spighe di grano dei "crop circles" siano state realmente irradiate da
microonde. ---

Ma le foto che mostrano sferette di silicio attaccate alle spighe, dovute ad un forte riscaldamento e repentino raffreddamento, ci danno un'indicazione di un qualche irraggiamento di calore.

Grazie per l'attenzione,ing. Mauro Quagliati


IL RIDUZIONISMO ARCHEOLOGICO DI CASA ANGELA 19/11/2003

Tempo fa reagii incavolato ad una puntata di “La Macchina del Tempo” di Cecchi Paone dicendo che era così insopportabile da farmi apparire quasi simpatico Alberto Angela (il mio sfogo sarcastico fu ripreso anche da Hera a giugno). Naturalmente era un’iperbole, in realtà non si smette mai di (dis)imparare guardando Ulisse, come ad esempio la puntata di domenica 9 novembre su Rai3, dedicata ai Maya e ad altre civiltà precolombiane.

Francamente non sono alterato, sono divertito e compiaciuto all’idea che i libri di storia della scienza del futuro, ricorderanno questo “medioevo” dell’antropologia e dell’archeologia con lo stesso sorrisino di superiorità che oggi viene riservato ai sostenitori dell’abiogenesi. La famiglia Angela passerà giustamente alla storia alla stessa stregua dei giornalisti prezzolati che incensano il padrone di turno e impediscono ai fatti scomodi di essere divulgati e conosciuti. E se non sarà così passerò parola ai miei nipoti e pronipoti perché possano tenere memoria dell’ottusità della mente umana.

Mi domando però a chi obbediscano i divulgatori della scienza omologata in Italia, quando parlano di antiche civiltà. Quale pericolo sociologico si anniderà mai nell’ammettere pubblicamente che le cosiddette “civiltà superiori” hanno un’evidente matrice comune? O che tutte le cosmogonie dei popoli antichi, fossero esse civiltà agricole “stratificate” oppure società illetterate, avevano gli  stessi identici “mitologemi” per spiegare l’origine e l’ordine del mondo?

Un esempio su tutti il mito del Diluvio Universale. A questo proposito come non ricordare con tristezza un testo tanto sponsorizzato dal Cicap, “Antichi astronauti” di William H. Stiebing Jr? In esso si avanzava il sospetto che le versioni più esotiche del mito del Diluvio (cioè quelle irraggiungibili dalla zona anatomica e mesopotamica), non fossero autoctone, ma bensì contaminazioni dovute ai missionari cattolici. Alla faccia del rispetto dell’identità delle culture indigene e del lavoro di circa due secoli di etnografi!

Basterebbe leggersi “Il Mulino di Amleto” di Giorgio De Santillana, esimio storico della scienza, ma forse è una fatica eccessiva per i curatori di Ulisse (o SuperQuark o Passaggio a NordOvest che dir si voglia). Le civiltà infatti, ci indottrina con sicurezza Alberto Angela, nascono seguendo le regole di “caso e necessità”.

Lo sapevate??? 15000 anni fa un gruppo di migranti passanti dallo stretto di Bering colonizzano le Americhe, passano alcuni millenni e inventano l’agricoltura, la scrittura, la religione, le piramidi, ecc… ma il tutto, si badi bene, nella maniera più assoluta, indipendentemente dalle altre civiltà del continente asiatico.

Com’era il mondo secondo la mitologia maya? Al centro del Cosmo c’è l’Albero della Vita, pilastro  che si estende in verticale nei 3 livelli in cui è diviso l’Universo: l’alto dei Cieli, la Terra e gli Inferi. Non molto originali questi Maya, mi pare di averla già sentita, quest’idea … non è forse il concetto che sta alla base di quasi tutte le cosmogonie elaborate dalle culture umane, dai Celti ai Sumeri, dai Polinesiani ai Pellerossa, dagli Indù ai Siberiani? (caspita che sintonia! Si tratta di evoluzione convergente o inconscio collettivo junghiano? Un minimo di sospetto, per la miseria!).

E’ un po’ come la teoria dei gemelli separati all’infanzia, spiega il documentario. Avendo essi gli stessi schemi mentali, di fronte alle grandi questioni esistenziali, rispondono allo stesso modo.

Con difficoltà però riesco ad immaginare l’inevitabilità di queste tappe della storia, quando si tratta delle conquiste tecnologiche.

Già l’ “invenzione” dell’agricoltura è di per sé un fatto straordinario, unico. Ma che venga messa a punto 2 o più volte in continenti diversi da gruppi umani indipendenti, dopo che per 2 milioni di anni praticamente nulla era cambiato nella dotazione tecnica dell’umanità, è un qualcosa che ha le stesse probabilità di accadimento della nascita della vita dagli aminoacidi. Però anche qui l’esimio scienziato non ce la racconta tutta, non ci dice che le coltivazioni più antiche che si conoscano fioriscono contemporaneamente, a cavallo della fine dell’ultima era glaciale (12-10 mila anni fa) sulle Ande, sugli altipiani dell’Etiopia e della Tailandia.

Angela poi tiene a sottolineare le differenze: le Piramidi maya ed egizie sono cosa del tutto diversa, perché quelle egizie erano costruite con massi, mentre quelle americane con mattoni e materiale di riporto (ma dai? una differenza sostanziale). Mentre quelle egizie erano tombe costruite per essere sigillate e durare in eterno (il che è tutto da vedere…) , quelle maya erano templi ed osservatori astronomici (oops, forse come le ziggurat mesopotamiche?). (qui mi piace immaginare che persino Claudio Capone, abbia un moto di repulsione, realizzando improvvisamente che la sua voce suadente contribuisce a perpetuare mediaticamente queste fandonie).

D’altronde, si sa, non appena una cultura ha intenzione di costruire qualcosa che si eleva verso l’alto, la cosa più logica e spontanea è fare una montagnola, no? E’ così che le civiltà mediorientali, quelle messicane e quelle cambogiane hanno costruito della roba quadrata a gradoni! Cosa importa che siano tutti dei templi orientati astronomicamente che riproducono il Monte Meru, la Montagna sacra dell’origine del mondo? Si tratterà di un epifenomeno oppure di una coincidenza. Anche se, caro scienziato, il conto delle coincidenze non è completo: mettiamoci anche alcune centinaia di montarozzi piramidali in Cina, una piramide in Siberia, quelle delle Canarie, della Grecia.

Quindi finiamola con questa storia delle somiglianze tra civiltà, taglia corto Alberto Angela, sciocchezze che hanno ben poco di scientifico a cui credono ormai soltanto  i sostenitori dell’intervento extraterrestre.

Certo alcune somiglianze sembrano veramente incredibili ammette il super-divulgatore. E non sa quanto ha ragione! … se sapesse quante cose hanno in comune l’etnia Maya con quella cinese, sarebbe un passo avanti. I Maya hanno un’alta incidenza delle macchie mongoliche sacrali tipiche della stirpe asiatica. Gli Olmechi del Messico poi ci hanno lasciato delle statuette che raffigurano dei tipi somatici chiaramente orientali, nonché figure con ideogrammi un po’ troppo somiglianti alla scrittura della dinastia cinese del II millenni a.C. Contemporaneamente altre tribù native del Messico possiedono un tipo di retrovirus trovato solo in Cina e Giappone.

La “neolitizzazione”, e la conseguente nascita delle civiltà “stratificate”, nella divulgazione riduzionista sarebbe quindi un processo di poligenesi, che parte da 2, 3 (o più?) centri di diffusione indipendenti (la mezzaluna fertile, la Valle dell’Indo, la Cina e l’America), come se fosse scritto nei geni che l’Homo sapiens debba inventare la scrittura e la divisione della società in classi e tutto l’armamentario dell’uomo civilizzato (agli Aborigeni australiani o ai Boscimani africani non è mai venuto in mente, perché?).

Insomma sembra di stare in “Civilization” di Sid Meier. Prendiamo alcuni popoli distanti tra di loro e senza contatti, facciamo scorrere il tempo e questi scoprono, le stesse cose, le stesse architetture, gli stessi concetti astro-mitologici, le stesse narrative. E lo fanno scandendo una ben precisa successione evolutiva praticamente inevitabile, che inizia dall’Homo faber e finisce con l’homo tecnologicus. Quindi, o siamo di fronte ad insospettato innatismo della specie umana, oppure qualcuno non ce la sta raccontando giusta.

Le culture americane non fanno eccezione, sviluppandosi, sui libri di archeologia, secondo una successione di fasi necessarie: il periodo arcaico, formativo, classico, post-classico.

In quest’ottica di “pari opportunità”, tesa a dimostrare che ogni etnia lasciata a sé stessa prima o poi svilupperà la “sua” civiltà, si ottiene in verità l’effetto opposto: gli indigeni americani fanno infatti una magra figura di fronte ai loro cugini asiatici, se arrivano ad organizzarsi in città-stato e Imperi circa 3000 anni dopo gli asiatici, s’intende, nella scala dei tempi radiocarbonica, che sarebbe anch’essa da ricontrollare (vale la pena ricordare che Tiahuanaco possiede molti livelli ancora non scavati e che indagini archeoastronomiche puntano ad una data precedente al 10.000 a.C.).

Allora chi arriva primo vince la partita (in questo caso lo scenario è il dominio globale) e i vincitori sono gli Europei, che sono arrivati per primi alle conquiste tecniche che consentono la massima efficienza nell’uccisione dei propri simili.

Purtroppo l’archeologia è ancora ferma ai concetti degli stadi evolutivi successivi, mentre l’etnologia, che si è sviluppata in senso strutturalista non ha forse avuto ancora il tempo di contribuire alla questione delle origini. Un approccio antropologico, credo, non avrebbe difficoltà a considerare alcune civiltà letterate (per esempio le teocrazie Egizie, Maya-Azteca e Inca) come un’unità strutturale, dal punto di vista sociale e culturale che si contrappone, alla miriade di culture illetterate che hanno lasciato tracce poco appariscenti del loro passaggio sulla Terra. E una parentela culturale può a volte presumere un’origine comune.

Qual è il peccato insito in un sano scenario diffusionista, mi chiedo? Lo studio archeologico del neolitico europeo mostra che i portatori delle nuove tecnologie agricole e pastorizie si diffusero molto rapidamente in tutto il bacino del mediterraneo (un millennio), insediandosi in luoghi distinti da quelli già occupati dai mesolitici, dai quali differivano anche per i tratti craniofacciali. Perché non estendere questo modello all’intero pianeta?

 Un’umanità antica molto più interconnessa a livello intercontinentale, in cui le tecnologie e le filosofie si sono distribuite irregolarmente, a macchia di leopardo, e in cui  la memoria di antichi contatti via mare, è stata trasferita nel patrimonio mitologico di molte culture.

Un’umanità in cui gli oceani, per assurdo, mettono in comunicazione le sponde opposte dei continenti anziché separarle, come dimostra la diffusione trans-pacifica delle lingue austronesiane, dal Madagascar all’Isola di Pasqua. Una civiltà navigante può benissimo partire dal sud-est asiatico e approdare nel Messico, in molto meno tempo di quello richiesto per passare dallo stretto di Berings, così come una cultura preincaica può aver preso il mare ed essere approdata nell’Isola di Pasqua (come ha dimostrato Thor Heyerdal). Sullo scoglio sperduto nell’ombelico dell’Oceano Pacifico troviamo la scrittura Rongo-rongo, che riproduce gli stessi simboli disegnati sulle ceramiche di Mojenio-Daro in Pakistan. E solo da poco si sta cominciando a scoprire l’architettura megalitica della Nuova Zelanda e la simbologia spiraliforme così curiosamente simile a quella celtica.

Pensiamo a cosa è successo nel mondo negli ultimi 3 secoli e immaginiamo il lavoro di antropologi che, tra 10000 anni, fossero privi delle informazioni storiche sulla nostra epoca. Come interpreterebbero la presenza della lingua inglese agli antipodi della Terra? E cosa direbbero gli archeologi di fronte alla “sconcertante” presenza della tecnica di costruzione del calcestruzzo armato?  Direbbero che è stata sviluppata indipendentemente da tutti i popoli della Terra?

La civiltà che costruisce templi, mura, argini, insomma ingegneria, non è un punto di arrivo naturale dell’umanità, è un’esperienza culturale come un’altra, che può essere stata importata dall’esterno.

Non sono un sostenitore a tutti i costi dell’origine monogenetica delle civiltà superiori, come un’ingenua interpretazione della mitica madre patria Atlantide farebbe pensare. Sto pensando più a una teoria “multiregionale” delle civiltà e delle culture, con frequenti inter-scambi. Non è detto che una civiltà globale del passato si sia comportata come la nostra civiltà omologante e distruttrice.

Non si vuole sottrarre agli autoctoni il privilegio di avere la “propria” civiltà, né sostenere che gli anacronismi storico-archeologici si debbano spiegare con l’intervento degli extraterrestri.

Dico solo, caro Ulisse, quante cose ci sono ancora da scoprire!

Comunque non credo che tutti i popoli della Terra sarebbero per forza orgogliosi di rivendicare il diritto ad essere capaci di produrre una “civiltà” come la intendono i libri di scuola.

Una storia delle civiltà che fosse scritta dal punto di vista dei cacciatori-raccoglitori, come gli Aborigeni, gli Inuit e gli Ainu, non avrebbe dubbi nel considerare l’invenzione della proprietà della terra, che si ebbe nelle città-stato mesopotamiche come nell’Impero Azteco, un’esperienza folle, un’ allucinazione dovuta a un incidente di percorso che ha distolto l’uomo dal sacro percorso tradizionale dell’armonia con la Madre Terra. E per quanto riguarda la fondamentale tappa dell’invenzione della scrittura, fu addirittura Platone a metterci in guardia dall’esultare troppo e a chiedersi invece quanto abbiamo perso in spiritualità e complessità mentale da quando è stata introdotta la scrittura.

Insomma liberare l’indagine sulla storia dell’uomo dagli intenti pedagogici e ugualitari, e soprattutto dalle spiegazioni onnivalenti della casualità e del subconscio, sarebbe un passo avanti verso la ricerca della verità.
 

ing. Mauro Quagliati
TIRADRITTI?...NO, GRAZIE! 28/12/2003

In risposta all'articolo di Francesco Tiradritti pubblicato sulla Stampa il 10/12/2003
e visionabile cliccando qui (PDF, 262Kb)

Francesco Tiradritti è uno dei più apprezzati egittologi della nuova generazione”. Almeno così recita la presentazione dell’articolo su La Stampa del 10 dicembre 2003, pagina Cultura e Spettacoli. “Se questa è la nuova generazione, andiamo bene!” ho pensato. Io non ho pregiudizi tout-court verso il lavoro e i metodi degli egittologi di professione. Ho qualche sospetto, alimentato dalla mia curiosità e, forse, malizia. Come quando al ritorno dalla mia visita al Museo del Cairo, consultando il libro “I Tesori dell’Antico Egitto”, appena acquistato, con un certo rammarico constatavo l’assenza dei boomerang che ho osservato nella sala del tesoro di Tutankhamon (se gli egittologi pensano che non siano importanti ci sarà un motivo…).

Vorrei solo cercare di capire i motivi dell’astio e del fastidio che gli accademici come Lei, professor Tiradritti, provano verso ipotesi di lavoro che non provengono dai banchi dell’Università. Quello che invece mi fa poi inquietare è quando vengo preso per il naso e, diciamolo francamente, insultato da chi pontifica su cosa sia la vera scienza e cosa le fandonie. Quindi mi presento, mi chiamo Mauro Quagliati e sono un “piramidiota”, etichetta inevitabile (già coniata da un presuntuoso articolo di Quark dell’anno scorso), nella mia veste di ingegnere appassionato di argomenti che in linea di principio non dovrebbero riguardarmi, come ad esempio le antiche civiltà e le loro conoscenze, in particolare astronomiche.

Il mio interesse, un po’ di parte, per la costruzione delle piramidi, nacque leggendo “Il segreto delle grandi piramidi” di Georges Goyon, assistendo alla disinvoltura con cui la scienza moderna interpreta uno sconcertante enigma della civiltà umana e al modo in cui un archeologo stimato giustificava il traino di blocchi di decine di tonnellate su misteriose rampe scivolose (attrito posto pari a  zero).

A 20 anni di distanza dal testo di Goyon, e nonostante ripetuti dibattiti tra egittologi e ingegneri (mi riferisco a un gruppo di ricerca dell’Università di Torino che ha proposto macchine “basculanti” per il sollevamento di grandi pesi), direi che praticamente nulla è cambiato nel panorama delle spiegazioni ortodosse sull’ingegneria egizia, che si accontentano, oggi come ieri, delle abusatissime rampe inclinate: eppure, siano esse lineari, avvolgenti, o fatte su binari di legno spalmati di grasso, come dice Diomedi (supportato da Zahi Hawass), la loro realizzazione geotecnica e loro funzionalità logistica rimangono impossibili.

E’ per questo che auspicherei un dialogo nell’ambito dell’egittologia verso i contributi eterodossi e non una chiusura mentale completa, stizzita e immotivata. Nel mondo dell’egittologia Lei fa parte della categoria di studiosi che “dicono la loro”, partecipando alle trasmissioni televisive dedicate ai misteri. Quelle di Roberto Giacobbo nello specifico, come una recente puntata di Voyager, in cui ha dato ampiamente prova di conoscere ben poco di astronomia e di negare persino l’evidenza. Quello stesso programma che, mi perdoni, Lei non deve aver seguito con molta attenzione, come dimostra l’articolo confuso e approssimativo che ha scritto mercoledì scorso.

Non so chi siano i fautori della teoria dell’arrivo di una civiltà aliena da Orione. Se si riferisce a Robert Temple, si tratta dei Nommo provenienti da Sirio. Se invece intende la teoria archeoastronomica di Robert Bauval, come è ovvio dai Suoi riferimenti ai condotti obliqui e al 10.500 a.C. (non capisco perché non fare nomi e cognomi…), mi permetta di aiutarLa a fare un po’ di ordine:

-       Bauval NON ha mai detto che le Grandi Piramidi le hanno costruite gli alieni (meno che mai arrivati da Orione);

-       egli sostiene che i condotti  obliqui della Piramide di Cheope puntino verso sud alla cintura di Orione e alla stella Sirio, verso nord alla stella polare dell’epoca faraonica (Thuban, alfa Draconis) e a Kochab (beta Ursae Minoris). Ciò non è una scoperta eccezionale, perché in parte già pubblicata negli anni ’60 da Virginia Trimble (benché ignorata);

-       ciò che c’è di nuovo è la datazione proposta del 10.500 a.C. come data dell’allineamento ottimale della cintura di Orione con le 3 piramidi di Giza, anche se questo non significa che questa sia l’epoca della loro costruzione, ma un’epoca di riferimento astronomico, il mitico Zep Tepi.

Lei ha tutti i diritti di essere in disaccordo con le ipotesi del “club” Bauval-Hancock-West, ma dovrebbe controbattere alle loro teorie, non a quelle di qualcun altro. Altrimenti Lei si comporta soltanto come i peggiori politici, come Bush che considera terroristi tutti coloro che la pensano in modo diverso da sé.

Nel nostro caso è necessario conoscere un minimo di astronomia, materia che Lei ignora, a giudicare da quanto scrive: tutto ciò che c’è da sapere sul cielo e sulle stelle e è che sorgono ad est e tramontano ad ovest (!!!). Nel mezzo, egregio Tiradritti, passano per il meridiano, cioè al sud, nel punto di culminazione, ovvero della massima altezza sull’orizzonte. Ciò che hanno scoperto Trimble e Bauval è che gli angoli sono quelli giusti per puntare a Zeta Orionis, Sirio e alla polare dell’epoca attorno al 2500 a.C. (quindi confermando l’egittologia ortodossa!). Naturalmente se nello stesso momento due coppie di canali opposti puntano, a 4 stelle importanti per l’astronomia egizia, vorrà pur dire qualcosa. C’è qualcosa di scandaloso in questa cerimonia di allineamento “astrale” correlata alla religione egizia? Direi proprio di no, tant’è vero che nel Libro dei Morti è scritto che il faraone rinascerà come Orione. Quindi non vedo cosa ci sia di eretico in questa scoperta, la quale non fa altro che confermare concetti mitologici egizi incarnati dall’architettura stessa della piramide e per giunta confermare una datazione presunta. Invece Lei e molti suoi pari si inalberano scandalizzati.

Se intendeva inoltre deridere coloro i quali credono che questi piccoli pertugi obliqui portino a camere nascoste, la pregherei anche qui di fare i nomi: infatti è niente di meno che il sovrintendente delle antichità egiziane, Zahi Hawass, ad essersi assunto l’onere di forare la parete di un condotto (dieci anni dopo aver cacciato in malo modo Rudolf Gantembrink che intendeva fare la stessa cosa) e a sostenere che forse lì dietro si trovano altri vani.

Ma il peggio è che nella Sua furia iconoclasta verso i piramidioti, fa delle uscite talmente infelici da far rabbrividire persino Piero Angela. Che la Grande Piramide sia allineata con precisione al nord è un fatto arcinoto. Naturalmente non è necessario avere una bussola per orientarsi, “che ci vuole?”, dice Lei, “basta seguire il Nilo che scorre verso nord”. Le chiedo, è così che si ottiene uno scostamento dal nord geografico di pochi minuti di grado?… Ma dico, stiamo scherzando? Con che cosa si allineavano? Con i ciuffi d’erba? Con le palme? Forse le è sfuggito che l’unico metodo “tradizionale” per tracciare con precisione i punti cardinali è quello astronomico: si prende una stella a riferimento, si osserva il suo punto di levata e tramonto su un piano orizzontale, si traccia la bisettrice e il gioco è fatto. E’ talmente ufficiale questa trovata che la raccontano anche nei documentari della famiglia Angela.

Insomma, non c’è verso, bisogna guardare per aria. Ma purtroppo Lei ha un’idiosincrasia personale e irrazionale verso l’astronomia e contro l’ archeoastronomia in particolare, disciplina giovane ma con basi scientifiche solidissime. Altrimenti non si spiegherebbe questa sua uscita: “Esistono programmi informatici che permettono di farsi un’idea di com’era il cielo stellato allora: ne ho consultato uno e non ho riscontrato grandi differenze tra oggi e 12.500 anni fa.”. Per carità! Più o meno è uguale … E’ buio con delle lucine che si muovono, oggi come allora.

Ma caspita, è così semplice, no? “Tutti i templi dell’Egitto sono orientati parallelamente o perpendicolarmente al Nilo”. Mi permetta di dubitarne. A Luxor, dove Lei lavora, il Tempio di Karnak è orientato lungo una direttrice Sud-Est -> Nord-Ovest, che non c’entra affatto con la direzione del Nilo: non sarà mai che la direzione del suo asse sia orientata all’alba del solstizio d’inverno e al tramonto del solstizio d’estate? D’altronde che novità sarebbe? Il Tempio di Abu Simile è diventato celeberrimo proprio per il suo peculiare orientamento studiato per ricevere i raggi dell’alba nel giorno del compleanno di Ramsete II. Il minimo che si può dire è che gli Egizi erano astronomi “bravini” o quantomeno gente interessata ai moti del cielo.

Cosa c’è di male nell’ammettere che la terra d’Egitto è lo specchio del cielo? Si offende qualcuno in particolare? Solo l’intelligenza del telespettatore che ascolti una delle sue frasi più infelici di qualche settimana fa: “gli Egizi non erano grandi astronomi, perché non erano navigatori. E si sa che le civiltà esperte di astronomia sono quelle che la usavano per navigare e orientarsi”. Sul serio? Come per esempio i Sumeri e i Maya? E chi ha stabilito che gli Egizi non navigavano, con quella discussa barca solare di Cheope, disegnata per affrontare l’alto mare, come un’imbarcazione vichinga? Queste Sue frasi sono il condensato della miopia della vecchia generazione di studiosi, altro che nuova!

Per quanto riguarda l’argomento “antiche tecnologie avanzate”, tra i reperti dell'Antico Egitto ci sono dei manufatti in granito e in diorite la cui realizzazione esula dalle normali tecniche accreditate alla civiltà di 4500 anni fa. Ciò non significa che siano scesi gli extraterrestri, ma più semplicemente, che le alcune realizzazioni non sono compatibili con gli strumenti che fanno bella mostra di sé nei musei, a parte qualche curioso oggetto dall’apparenza di “meccanismo” come il volano di scisto, apparecchio dalla funzione sconosciuta. In che modo venivano squadrati i grandi blocchi che compongono le camere interne della Grande Piramide o i templi megalitici come quello della Valle e l'Osyreion di Abydo? Come mai se entro nella Camera del Re vedo parallelepipedi di granito lisci, mentre nella camera della piramide di Hetepheres si vede l’alabastro graffiato dagli scalpelli, al modo tradizionale?

Gli scalpelli di rame ribattuto e i martelli di dolerite non sono strumenti adatti per la squadratura geometrica di grandi blocchi. Qualche egittologo ha detto che bisognerebbe usare una sega diamantata abbastanza lunga e rigida (di bronzo?) ed un abrasivo come la sabbia di quarzo per ottenere un risultato vagamente simile a quello che si ottiene, ad esempio oggi, nel taglio del marmo (usando una sega a filo liscia e smeriglio). Eppure gli antichi egizi lavoravano con grande facilità le rocce ignee più dure esistenti in natura. E’ certamente possibile spezzare la roccia forzando una fessura naturale con il metodo del cuneo di legno (di cui si parla sempre fino alla nausea) oppure con un colpo ben assestato da un mastro artigiano delle cave. Ma questo non basta assolutamente.

Qui si parla di tagli millimetrici. Mediamente, l’arenaria è 2 volte più dura del calcare compatto, il granito, il basalto e la diorite sono 4 volte più duri. La tecnologia odierna per tagliare in modo efficiente blocchi di granito usa come abrasivo la polvere di diamante o di carborundo (carburo di silicio, SiC, un minerale sintetico simile al diamante (sulla scala di durezza relativa dei minerali, che va da 1 a 10: 7= quarzo, 8= smeriglio, 9= carborundo, 10= diamante).

Quindi, non è dato sapere come sia stato lavorato quello che viene considerato il sarcofago di Cheope. Questo parallelepipedo di granito, intagliato esternamente alla perfezione, è stato scavato all’interno in un modo che ha sconcertato l’egittologo del XIX secolo Flinders Petrie: devono aver usato un cilindro perforatore rotante, sul quale andrebbe esercitata una pressione enorme, superiore a 1 tonnellata. Christopher Dunn, tecnico delle perforazioni, ha dimostrato, con strumenti moderni, che diverse superfici in granito lavorate nell’antichità sono lisce al 1/50 di millimetro, e che gli strumenti utilizzati nella perforazione erano più efficienti di quelli odierni. Dunn ha misurato la spirale del taglio su una "carota" (cilindro prodotto dalla trivellazione) di granito rinvenuta a Giza ed oggi conservata al Museo Petrie di Londra, trovando un passo sorprendente della spirale di taglio: 2,5 mm a giro, contro i 2/1000 di mm a giro scavati da un trapano moderno, che funziona a 900 giri/minuto. Ciò non può essere ottenuto, ovviamente, con un cilindro di rame azionato a mano e sabbia di quarzo. Di queste perforazioni esistono numerosi fori, che sono stati mostrati anche a Stargate un paio di anni fa.

A questo proposito in una di quelle puntate Lei ha affermato che non c'è nulla di strano in quelle perforazioni, dato che si possono ottenere con un trapano di selce ad arco, azionato a mano, anzi più lento è il trapano meglio penetra nel granito. Beh, mi piacerebbe proprio vederle queste cose fatte nella realtà, per cui La pregherei di contattare Giacobbo per una dimostrazione in studio con un mastro artigiano della pietra, in modo da fugare definitivamente i dubbi circolanti sulle capacità e gli strumenti degli antichi.

Non è tutto. Vi è una strana produzione di vasellame in diorite, basalto e quarzo rinvenuta a Saqqara e a Naqada, risalente ad epoca predinastica (4000 a.C.). Diverse coppelle sono incise con iscrizioni nettissime spesse 0,16 mm (prodotte perciò con punte resistentissime da 0,12 mm). Vasi, anfore e altri oggetti comuni sono arrotondati e modellati con simmetria in un modo che si può ottenere solo con la lavorazione al tornio: mostrano le cuspidi tipiche che rimangono sul vaso quando lo si lavora al tornio, presentano superfici perfettamente levigate. Alcuni recipienti hanno un elegante collo allungato e sottilissimo, e sono internamente cavi: questo significa che la roccia è stata scavata da fuori, attraverso un’apertura che non permette nemmeno il passaggio di un dito, un’operazione che anche oggi è semplicemente impossibile.
 
 

Concludendo, non sono un assertore della superiorità dei tecnici sugli umanisti, al contrario sono un sostenitore della multidisciplinarietà degli approcci ai problemi dell’archeologia e dell’antropologia. Nessun luogo meglio dell’Egitto rappresenta la sintesi di ciò che nel passato era un unico corpus di conoscenze comprendente l’architettura, l’astronomia, la religione, l’estetica, la medicina e quant’altro.

Si potrebbe quindi cominciare con un accordo tra esperti: i vari ingegneri, geologi, e matematici potrebbero smettere di parlare spregiativamente di egittologia “ufficiale” e comunicare con accademici dalla mente aperta. Da parte loro alcuni egittologi potrebbero evitare di dire castronerie dettate esclusivamente dalla gelosia professionale e che servono solo a incattivire gli animi. Mutando certi atteggianti si potrebbe imparare gli uni dagli altri e arrivare a qualche frammento di verità in più, in merito alla sapienza dei nostri antenati.
 
 

Distinti saluti

Mauro Quagliati


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